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La coltivazione della patata a Bologna: una lunga storia

Nonostante il terreno e il clima particolarmente adatti per la coltivazione di questa pianta, la coltura della patata nel Bolognese inizia a muovere i primi timidi passi solo nel Settecento, trasferendosi dai giardini botanici – in cui era comparsa circa mezzo secolo prima – agli orti rurali.

 

Piero Maria Bignami promuove la coltivazione della patata

A dare inizio alla coltivazione della patata nel Bolognese è Piero Maria Bignami – agronomo e proprietario terriero – che nel Settecento supera la diffidenza generale dei coloni e ottiene i primi risultati importanti.

È così che, nel 1773, presenta all’Assunteria di Abbondanza – ovvero alla ripartizione del vecchio governo bolognese che si occupava di garantire un flusso continuo di viveri ai cittadini – un documento approfondito sugli esiti delle sue sperimentazioni.

Bignami afferma che la coltivazione di patate, grazie alle caratteristiche particolari del suolo bolognese, si sarebbe affermata già da tempo se non avesse incontrato l’ostilità dei contadini locali.

Per superare i pregiudizi, Bignami invita gli altri proprietari terreni a non demordere e, anzi, a obbligare i coloni a coltivare le patate, mostrando loro i ricavi che se ne possono ottenere.

Promuove, inoltre, la grande versatilità di questo tubero, perfetto per frittelle, tagliatelle, bigné e perfino per il pane.

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Il pane di patate: economico e gustoso

Per Bignami il pane di patate è squisito e anzi afferma di averlo offerto più volte anche ai propri domestici “a quali tanto piace che spontaneamente ne mangerebbero sempre”.

La patata si rivela perfetta anche per l’alimentazione di polli, piccioni e cavalli e – soprattutto – dei bovini, che se ne sono ghiotti.

Coltivare la patata significa, inoltre, diminuire l’importazione di cereali forestieri e favorire gli allevamenti locali, con conseguente aumento della produzione di concime.

Insomma, Bignami sostiene che anche il tenore stesso di vita degli abitanti del Bolognese si alzerebbe, innescando una reazione a catena virtuosa che consentirebbe maggiore disponibilità di beni di consumo, l’aumento della popolazione e, come conseguenza immediata, anche una crescita dell’industria.

 

La crisi cerealicola del 1816

Nel 1816, l’intera provincia viene colpita da una grave crisi cerealicola che determina una forte denutrizione negli strati sociali più bassi della popolazione, causando numerose vittime.

Per mettere a riparo il suo popolo, il cardinale Carlo Oppizzoni, si adopera per diffondere la coltivazione della patata su tutto il territorio, istruendo i parroci sui vantaggi che ciò comporterebbe.

All’inizio dell’Ottocento la più diffusa è la patata grossa bianca, perché offre un rendimento maggiore rispetto alla gialla e alla rossa, anche se anche queste ultime vengono già coltivate e sono considerate da molti le più saporite.

Nel 1817 la patata viene battezzata “risorsa alimentare primaria” e escono il Saggio sulla coltivazione e sugli usi del pomo di terra e specialmente come valga a migliorare i terreni di Filippo Re e l’opuscolo Istruzione agli agricoltori della provincia di Bologna sul coltivamento e sugli usi de’ pomi di terra scritto dal Prof. Giovanni Francesco Maria Contri, su invito del Cardinale Opizzoni.

 

Paolo Benni e la coltivazione della patata nella montagna bolognese

Fra i pionieri della pataticoltura, c’è anche il ricco possidente Paolo Benni, uno stimato orologiaio che aveva iniziato la coltivazione del tubero fin dal 1800 in uno dei suoi fondi di montagna in località San Giorgio di Val di Sambro.

Per vincere la diffidenza dei contadini, Benni pianta i tuberi insieme al granoturco, ottenendo un raccolto ottimo di entrambi i prodotti. Anzi, il mais risulta ancora più bello e maturo proprio nei punti in cui le sue radici si intersecano con quelle delle patate!

Inoltre, Benni scopre che risulta di grande valore economico anche l’amido ottenuto da alcune macchine che egli stesso mette a punto, per facilitare le operazioni di estrazione.

 

Il primo dopoguerra e l’incremento della produzione di patate a Bologna

Già dopo la Prima guerra mondiale, ben 4.900 ettari di terreno agricolo nel Bolognese vengono destinati alla coltivazione della patata, una bontà riconosciuta e esportata anche in Germania, Svizzera e Francia.

Nel XX secolo la coltivazione raggiunge il suo massimo potenziale, diventando una risorsa importante anche per l’economia rurale dell’intera provincia, dalla pianura alla collina, fino alla montagna.

 

Anni Cinquanta: patate sempre migliori

Nel secondo dopo guerra – ovvero nei tempi d’oro delle colture di barbabietola da zucchero, grano e mais – i bolognesi non perdono tempo e mettono ancora più a frutto la loro terra, migliorano la qualità dei prodotti e sviluppano la meccanizzazione, inventando nuove attrezzature sul campo, grazie all’ingegno di artigiani locali.

 

1955: finalmente si scopre tutta la bontà della patata di Bologna

Nel 1955 la patata di Bologna – selezionata in Olanda e unica in Europa – è definita la patata ideale: un patrimonio da coltivare, ma soprattutto da gustare.

Scopri di più sui valori nutrizionali della patata.

Di buona coltura e ottima in ogni preparazione, finalmente la patata si afferma nel territorio bolognese e sulle tavole dei buongustai, diventando anche la protagonista del saggio L’introduzione della patata nel bolognese di Agostino Bignardi – presidente dell’Unione Provinciale Agricoltori e docente di Storia dell’Agricoltura all’Università di Bologna.

La sua opera evidenzia come la patata abbia impiegato ben due secoli per integrarsi nelle tradizioni alimentari di bolognesi e italiani.

 

Il Consorzio Patata Italiana di Qualità: 200 anni di tradizione

Nel 1990 un gruppo di commercianti e produttori si riunisce nel “Consorzio per la patata tipica di Bologna”, con l’obiettivo di valorizzare e trasmettere il patrimonio di esperienze di un territorio che fin dal 1800 si era contraddistinto per la qualità e l’eccellenza nella coltivazione della patata.

Sono chiamate a contribuire le associazioni di produttori, le cooperative, le realtà commerciali e l’Università di Bologna, ovvero una delle prime università che ospitò in Italia il tubero proveniente dall’America.

È proprio da questa collaborazione che nasce il progetto Selenella, la patata fonte di selenio.

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Nel 2002 nasce il Consorzio delle buone idee, che aveva il compito di coordinare la produzione e la commercializzazione di Selenella, continuando il processo di ricerca e sviluppo.

Solo da qualche anno, il Consorzio ha cambiato il suo nome in Consorzio Patata Italiana di Qualità, al fine di rendere più chiara e trasparente la missione stessa che si propone: Italianità e Eccellenza qualitativa. Una missione che ha segnato il suo percorso fin dagli albori e che tutt’oggi continua ad ispirare progetti importanti di sviluppo per il prossimo futuro.

Oggi il Consorzio conta 10 soci tra organizzazioni di produttori, cooperative e commercianti privati, cui fanno capo all’incirca 320 produttori per 60.000 tonnellate di patate.

Icona patata cuoca

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